Jayavarman VII, il grande re
I primi studiosi occidentali che si erano affacciati alla storia della Cambogia dei tempi di Angkor avevano riservato scarsa attenzione alla figura di Jayavarman VII e taluni, come E. Aymonier, avevano considerato il suo un regno che poco aveva portato al Paese khmer e che anzi segnava l'inizio della sua decadenza. La sua "riabilitazione" ha inizio nel 1903 ad opera di L.Finot, il quale aveva posto a confronto il testo di una iscrizione in sanscrito attestante la costruzione di un ospedale, la stele di Say Fong ritrovata nei pressi dell'attuale Vientiane e qui conservata nel Museo del Vat Prah Keo, con una analoga iscrizione su stele reperita nella regione meridionale del delta del Mekong, l'attuale Vietnam. Finot riporta quindi in primo piano la figura di Jayavarman VII e di lui scrive: "da questo momento, queste steli che si diffondono dal cuore del Laos alle coste dell'Annam ed alla bassa Cocincina, attestando da un lato le sue vittorie, dall'altro le sue opere meritorie, illuminano, nell'oscuro passato della Cambogia, la figura di un grande sovrano".
Il ritrovamento e la traduzione delle steli di Ta Prohm, di Prah Khan, di Banteay Chmar e del Phimeanakas, nonchè numerose altre iscrizioni sparse sul territorio del vasto impero così come alcune iscrizioni del Champa, consentono di ricostruire un'immagine "a tutto tondo" di questo "grande re". Il padre, Dharaindravarman II che era cugino di Suryavarman II, aveva guidato il regno per un periodo piuttosto breve, tra il 1150 ed il 1160 circa, ed aveva sposato, ancor prima di salire al trono, la principessa Jararajacudamani che discendeva dalla "dinastia solare" che aveva preso il potere in Angkor intorno all'anno 1000 con Suryavarman I.
Molti elementi inducono gli storici a fissare la nascita di Jayavarman VII nel 1125 circa; non vi sono elementi, invece, per stabilire se fosse figlio unico. Intorno all'età di venti anni aveva sposato la principessa Jayarajadevi dalla quale aveva avuto un figlio, di nome Shindrakumara, che, ancor giovane, aveva saputo dimostrare valenti doti di guerriero tanto che, dopo essere salito al trono, Jayavarman VII aveva decretato a lui, ancora vivente, una sorta di "apoteosi" consacrandogli il tempio di Banteay Chmar nel quale era stata posta una sua statua e quelle di quattro suoi valorosi compagni d'arme, morti per salvargli la vita. In una data imprecisata, ma sicuramente anteriore di qualche anno al 1165/66, Jayavarman era stato inviato a condurre una lunga campagna militare contro i Cham nella regione di Vijaya, l'attuale Binh-Dinh; in quel tempo, morto il re Dharaindravarman II, regnava in Angkor Yashovarman II.
Non si conosce la data esatta della sua salita al trono, se antecedente o successiva alla partenza di Jayavarman, nè i suoi rapporti di parentela con il defunto re Dharaindravarman. Sicuramente non era un usurpatore ed apparteneva alla famiglia reale, alla dinastia di Mahidharapura, infatti il giovane principe Shrindrakumara si era distinto combattendo lealmente e coraggiosamente al suo servizio. La sorte aveva riservato però a Yashovarman un regno molto breve: nel 1165 o 1166, un alto dignitario di corte aveva ordito una congiura, preso il potere, messo a morte il re e salito al trono con il nome di Tribhuvanadityavarman, "il protetto dal sole dei tre mondi".
Jayavarman aveva avuto sentore di questo tentativo di usurpazione e si era affrettato quindi a lasciare il Champa per rientrare in Patria ma, quando era giunto ad Angkor, aveva trovato Yashovarman morto e l'usurpatore già saldamente insediato sul trono. Gli era parso quindi opportuno comportarsi con prudenza ed aveva deciso di ritirarsi in un rifugio sicuro, lontano dagli ambienti della capitale; con lui vi era la moglie, la principessa Jayarajadevi, la quale per lungo tempo aveva sofferto il doloroso distacco dal marito, trovando solo conforto nella preghiera, nelle pratiche religiose ed in una vita quasi ascetica.
Grande conforto aveva trovato nella sorella Indradevi, donna di grande spiritualità e cultura, la quale la aveva condotta a trovare consolazione dalle sue pene nell'insegnamento del Buddha, cosicchè "ella aveva seguito il cammino tranquillo del Saggio, che passa attraverso il fuoco dei tormenti ed il mare delle sofferenze". Queste vicende, come quelle successive, sono narrate con grande ardore poetico e profondo lirismo nella stele del Phimeanakas. Autrice ne è la stessa Indradevi che aveva diretto anche la scuola di studi buddhisti del Ta Prohm e che, dopo la morte della sorella, era divenuta regina sposando Jayavarman VII.
In quello stesso tempo, nel 1166/67, anche nel Champa era salito al trono un usurpatore, definito da G.Coedes "un avventuriero", di nome JayaIndravarman il quale, prima si era assicurato la tranquillità sulla frontiera settentrionale inviando un ambascieria con omaggi e tributi all'imperatore vietnamita, poi aveva dato inizio ad una serie di attacchi contro il territorio dell'impero khmer, pensando forse di poter sfruttare convenientemente la ancora precaria situazione interna del Paese. La guerra si era protratta per un decennio, senza alcun significativo successo di nessuna delle due parti; nel frattempo Jayavarman era completamente scomparso dalla scena poltica: si può presumere che, su sollecitazione della moglie e della cognata, avesse cercato e trovato in un monastero buddhista il luogo sicuro in cui attendere l'evolversi degli avvenimenti politici e soprattutto la pace anche interiore per riflettere e meditare.
Visto il protrarsi della situazione di stallo delle campagne militari su terra, nel 1177, JayaIndravarman aveva tentato il colpo a sorpresa; i Cham dovevano la loro potenza e ricchezza principalmente alla loro abilità di marinai e spesso sapevano trasformarsi in audaci pirati. Era stata allora allestita una potente flotta sulla quale avevano imbarcato l'esercito ed una esperta guida cinese la aveva guidata dal mar della Cina meridionale fino alle foci del delta del Mekong. Avevano risalito il fiume sino all'altezza della attuale Phnom Penh, qui avevano imboccato il Tonle Sap che avevano percorso indisturbati sino al Grande lago senza essere avvistati dagli khmer che assolutamente non potevano immaginarsi un attacco da questa lato; nel lago sboccava il grandioso sistema di canalizzazioni che oltre ad irrigare i campi era la principale e più ramificata rete di comunicazione del Paese.
Era stata questa la via attraverso la quale i Cham erano penetrati nel cuore stesso di Angkor: una città priva di opere difensive e praticamente sguarnita in quanto tutta la sua sicurezza era riposta nei potenti eserciti che guarnivano le lontane frontiere. JayaIndravarman aveva messo a sacco la città, parte l'aveva data alle fiamme, aveva depredato e poi distrutto templi, palazzi e monasteri, messo a morte il re usurpatore e praticamente decapitato l'impero khmer facendo uccidere tutti gli alti dignitari, i ministri ed i comandanti militari.
Occupata militarmente Angkor, aveva disposto delle guarnigioni in tutta la regione circostante, lasciando a protezione la potente flotta, ormeggiata nel grande lago. L'impero era stato sottomesso e privato di ogni guida, ma il suo potenziale era rimasto intatto: gli eserciti accampati intorno ad Angkor e nelle province di frontiera conservavano tutta la loro forza ed integrità. Questi eserciti, così come tutto il Paese, erano però privi di una guida che li conducesse alla riscossa. Era quindi giunto per Jayavarman VII il momento di abbandonare il suo rifugio ed uscire dall'ombra: figlio di re, capace comandante militare, uomo ormai maturo negli anni e maturato nello spirito, lui era il solo che potesse mettersi alla testa degli eserciti khmer e risollevare le sorti del Paese liberandolo dalla dominazione straniera.
Assunto il ruolo che gli spettava, per meriti propri e per nobiltà di sangue, si era posto come primo obiettivo la liberazione del Paese dalle forze Cham di occupazione di terra. Nei combattimenti terrestri i khmer avevano ribadito la superiorità che anche nel passato avevano sempre dimostrato: avevano sconfitto i Cham e li avevano poi ricacciati oltre i confini, inseguendoli fino alle loro città.
Il vero, grande problema era ora rappresentato dalla flotta ormeggiata nel grande lago e che poteva sbarcare le sue truppe in ogni punto della costa: era necessario affrontarla e distruggerla, ma i khmer non avevano alcuna tradizione marinaia, erano contadini e guerrieri abituati a combattere sulla terraferma. Simili in questo ai Romani quando avevano dovuto affrontare Cartagine nella prima guerra punica.
In questa circostanza Jayavarman VII aveva dato mostra del suo genio militare: guarnite le coste di contingenti scelti che dovevano respingere i possibili tentativi di sbarco Cham, altre truppe le aveva imbarcate su zatteroni per poterle rapidamente dislocare nei punti più esposti, ed allestita una flotta vi aveva imbarcato il resto dell'esercito. Aveva poi mosso all'attacco delle navi nemiche. La tattica seguita era stata quella dell'abbordaggio e lo scontro navale si era trasformato in una battaglia terrestre, combattuta sulla tolda delle navi. I khmer avevano avuto la meglio e la flotta Cham era stata messa in fuga mentre le truppe che avevano tentato lo sbarco erano state respinte e sconfitte: era la vittoria totale e la liberazione del Paese. Jayavarman dimostrava così di ben meritare il proprio nome: "colui che è protetto dalla vittoria".
Gran parte delle vicende della vita del sovrano sono mirabilmente narrate nella già rammentata stele del Phimeanakas, una stupenda composizione poetica in sanscrito opera della principessa, e futura regina, Indradevi.
"Essendo stato Yashovarman attaccato da un servitore ambizioso di giungere al potere regale, il re (l'attuale: Jayavarman VII) tornò da Vijaya in grande fretta per portare soccorso a questo sovrano (Yashovarman).
Ma essendo già stato Yashovarman privato del potere regale e della vita da questo servitore, egli restò per salvare la terra lorda di delitti, attendendo il momento propizio.
Avendo Jayarajadevi per la sua devozione ritrovato il proprio sposo, pose termine alle sue contrizioni, lei, la divina; lei che desiderava vederlo risollevare la terra da questo mare di disgrazie in cui era sprofondata.
JayaIndravarman, il re dei Cham, arrogante come Ravana.....trasportando la sua armata su dei carri, andò a combattere il Kambudesha simile al Cielo.
......per ingaggiare un combattimento reso penibile da Yama che si tiene nella regione del Sud, e senza prodezze a causa dell' ardore del sole, egli uccise il re (l'usurpatore) gravato dalla maturità dei suoi atti.
In una battaglia, avendo, per la pazienza portata durante la disgrazia, vinto, questo re (Jayavarman VII) i cui guerrieri erano come un oceano senza limiti, dopo aver ricevuto la abhisheka, prese possesso, con la conquista di Vijaya e di altri Paesi, di una terra purificata che poteva essere chiamata la sua abitazione".
Questa è la narrazione degli avvenimenti, la loro raffigurazione è incisa nella pietra dei bassorilievi del Bayon dove si vede l'esercito in marcia verso la battaglia ed il suo vittorioso ritorno, il decisivo scontro sulle acque del grande lago e la vittoria finale.
I Cham erano stati ricacciati e l'impero era tornato ai suoi antichi confini che ben presto Jayavarman VII avrebbe ulteriormente esteso arrivando anche fino alle frontiere del regno mon di Pegu. Prima di nuove avventure militari era però necessario curare le profonde ferite inferte dall'occupazione straniera; soprattutto bisognava ricostruire Angkor più grande e splendente di prima per dare a tutto il popolo khmer la certezza, anche visiva, che la dominazione straniera era stata solo un "incidente di percorso" e che immutato restava il destino imperiale della nazione khmer. Non si trattava, quindi, di una semplice ricostruzione degli antichi templi, santuari e palazzi, doveva sorgere una "nuova" città, una città che già nella sua topografia rendesse evidente la nascita di un nuovo, ambizioso progetto politico. Una città grande e gloriosa, aperta a tutte le ricchezze materiali e spirituali che vi convergevano da tutti gli angoli dell'impero ma, allo stesso tempo, una città poderosamente fortificata ed imprendibile da qualsiasi nemico avesse voluto portargli minaccia: Angkor Thom, "la grande città".
Enormi erano state le risorse materiali ed intellettuali impiegate per costruire nuovi templi o per riedificare ed ampliare antichi monasteri, perchè nell'impero che risorgeva anche la religione doveva trovare nuovo slancio ma quelle divinità in onore delle quali erano stati eretti magnifici templi sembravano avere abbandonato il popolo khmer nel momento della sconfitta e dell'occupazione: erano maturi i tempi per una profonda riforma religiosa che Jayavarman VII si portava nel cuore e che aveva lasciato crescere e maturare durante i lunghi anni passati nell'ombra e nel raccoglimento della meditazione.
Insopprimibile era il culto del deva-raja in quanto su di esso si basava lo stesso istituto imperiale e quindi la coesione dell'impero; lo shivaismo ed il vishnuismo erano però religioni di pochi, erano il culto praticato dai brahamani e dai ceti dominanti. Il popolo restava legato all'ancestrale culto dei genii e degli spiriti anche se, poco a poco, iniziava a penetrare la predicazione buddhista che con i suoi ideali di pace, di mutua comprensione ed amore, di spirito caritatevole e tolleranza era per il popolo ben più comprensibile ed accetta degli antichi riti vedici. Jayavarman VII aveva proclamato la propria fede nel buddhismo del Mahayana dal cui ricchissimo e complesso pantheon aveva tratto la figura di Lokeshvara il bodhisattva "grande compassionevole" e nella iconografia religiosa, così come nella realizzazione delle grandi opere sociali, aveva fatto si che la sua immagine si sovrapponesse e si identificasse con quella della divinità stessa in modo tale da rendere reale ed effettiva la formula deva = raja = deva.
A questa scelta non era stata estranea la volonta politica di estromettere dalla corte la casta dei brahamani che nel corso dei secoli aveva accumulato enormi ricchezze ed un grande potere, spesso antagonistico alla volontà regia. Jayavarman aveva grandiosi progetti e per realizzarli aveva bisogno che nessuno ostacolasse la sua azione, necessitava anche di grosse risorse finanziarie che poteva ottenere solo mettendo le mani sulle ricchezze dei brahamani.
Sull'onda della vittoria sui Cham, mentre procedeva il lavoro di ricostruzione di Angkor e si consolidava la radicale riforma religiosa, Jayavarman VII aveva spinto i suoi eserciti alla conquista del medio Laos, di parte della penisola malese e di tutto il bacino del Chao Praya, sino ai confini della Birmania che non aveva valicato ma dove, per la potenza del suo impero, aveva reso tributario il regno di Pegu.
La sua guerra più importante ed accanita la aveva condotto, però, contro il Champa anche per tenere fede ad un proprio giuramento. Scrive infatti lo storico cinese Ma Tua-lin che al momento dell'invasione cham Jayavarman" aveva giurato di prendersi una terribile vendetta sui suoi nemici, cosa che era giunta a compimento dopo 18 anni di paziente dissimulazione". In realtà, gli anni di attesa erano stati solo 13 perché nel 1190 Jayavarman aveva sfruttato l'occasione fornitagli da un nuovo attacco portato da JayaIndravarman per invadere il Champa. Aveva sconfitto l'atavico nemico e, come recita una iscrizione del tempio di Po Nagar a Nha-trang, "aveva conquistato la capitale del Champa e ne aveva portato via tutti i linga". Aveva occupato il Paese e lo aveva diviso in due regni vassalli di Angkor: a nord, in Vijaya, aveva posto sul trono un suo cognato; a sud, in Panduranga, aveva regnato un principe Cham che già nel 1182 era fuggito esule ad Angkor e si era posto sotto la protezione del sovrano khmer. L'invasione del 1177 si poteva, così, dire vendicata.
Si ignora la data esatta della morte di Jayavarman VII, sicuramente successiva al 1201, anno nel quale le fonti cinesi attestano che "un sovrano che regnava già da venti anni " aveva inviato una ambasceria recante un tributo alla corte imperiale di Cina. Alcuni indizi inducono a ritenere che possa essere morto nel 1219, ad un'età quindi molto avanzata, dopo aver lasciato una profonda traccia nella storia del popolo khmer, nella sua arte, nel suo ordinamento sociale, nella sua religiosità. Nella citata iscrizione di Say Fong, relativa alla fondazione di un ospedale, si può leggere: "egli soffriva per le malattie dei suoi sudditi più che delle proprie: perchè è il dolore pubblico che crea il dolore dei re e non il loro proprio dolore". Il misticismo ed il senso di carità buddhista che hanno ispirato questo testo, così come molte altre iscrizioni sparse sul territorio di tutto il vasto impero, sono il frutto di una lunga e travagliata esperienza di vita, della disposizione d'animo di Jayavarman stesso e della profonda influenza su di lui esercitata dalla regina Jayarajadevi, donna animata da un ardente misticismo e da ambizioni di esclusivo ordine morale.
Riflettendo su tutto ciò, G.Coedes in un articolo pubblicato su un vecchio numero del bollettino della scuola francese di estremo oriente, aveva scritto: "la psicologia di Jayavarman VII e della sua prima regina, così come appare dall'epigrafia del suo regno, potrà aiutare, io credo, gli storici dell'arte a meglio comprendere questa arte del Bayon che, per le sue concezioni architettoniche ardite e talora un po' folli, per l'intensa vita che anima i personaggi dei bassorilievi, per il sorridente misticismo che anima le statue del Buddha e dei príncipi divinizzati nei tratti di Lokeshvara, utilizziamo il termine, per il suo romanticismo è così differente dalla ieraticità e dal classicismo un po' freddo che cavevano aratterizzato l'arte dei regni precedenti".
Questo "ritratto" di Jayavarman VII non ha trovato, talora, consenzienti tutti gli storici; alcuni gli avevano rimproverato di essersi fatto travolgere da un maniacale desiderio di grandiosità, quasi come se volesse competere con le stesse divinità celesti. Viene quindi accusato di avere dissanguato le finanze dello Stato ed esaurito tutte le risorse del popolo per poter erigere imponenti templi e santuari e costruire grandiose opere pubbliche il cui splendore doveva offuscare tutto quanto realizzato da tutti i suoi predecessori. E' un'accusa immotivata, nessuno dei suoi predecessori aveva dovuto far fronte ad una situazione tanto eccezionale.
Mai, prima di allora, Angkor era stata conquistata, saccheggiata e parzialmente distrutta.
I precedenti sovrani avevano potuto, in una situazione di totale sicurezza, profondere tutte le loro energie e le risorse del Paese per arricchire di nuovi templi Angkor, per aumentare le capacità del suo sistema idraulico, per estendere le conquiste. Non avevano dovuto lottare contro un nemico che aveva occupato il territorio nazionale e, oltre a templi e palazzi, aveva anche distrutto le infrastrutture agricole, viarie e commerciali del Paese. Nell'aver saputo far fronte ad una tale situazione di straordinaria emergenza risiede il merito non ultimo di Jayavarman VII, perché se imponenti sono il Bayon e il Prah Khan non meno grandiosi sono la rete viaria, il nuovo baray settentrionale, il sistema di dighe a ponte sul corso dei fiumi da lui realizzati oppure la rete di ospedali pubblici estesa a tutto il teritorio imperiale. E' questa sicuramente l'opera di un autocrate, di un despota illuminato, ma non poteva essere diversamente: l'impero per vivere ancora non poteva limitarsi a curare le ferite del passato, ma doveva progettare un grandioso futuro. Per fare questo Jayavarman aveva giocato tutto sull'immenso carisma della sua persona.
Come attesta la stele del Prah Khan, fece realizzare 23 statue, a sua immagine, chiamate Jaya-Buddha-maha-natha (natha significa "salvatore"), che aveva dato ordine di collocare nei più importanti templi di tutto l'impero: dal territorio siamese fino al Vat Nokor di Kompong Cham ed al Ta Prohm di Tonle Bati. La presenza della sua effige in questi templi, anche periferici, doveva attestare l'autorità politica del sovrano che veniva riaffermata pure dal suo "potere" religioso.
La dimostrazione concreta di questa sua autorità era lasciata alle grandi opere che aveva fatto realizzare oltre alle innumerevoli fondazioni religiose, grandi risorse erano state impiegate nelle opere pubbliche. Ricostruito ed ampliato il sistema delle vie di comunicazione, aveva fatto costruire sulle principali strade delle stazioni di posta, case con del fuoco, che distavano l'una dall'altre dai 12 ai 15 chilometri, che corrispondevano a tappe di 4/5 ore di cammino a piedi. Sulla strada che da Angkor portava a Vijaya, la capitale del Champa, ne furono costruite 57; altre 17 erano dislocate tra Angkor e Phimai sull'altopiano di Korat, nel Siam; 44 infine erano disposte su un circuito che collegava i principali insediamenti khmer. Alcune di queste case con del fuoco erano collocate in prossimità dell'ingresso di alcuni importanti santuari come Prah Khan, Ta Prohm, Phnom Chiso.
Non meno estesa e ramificata era la rete degli ospedali pubblici che erano dislocati dal nord del Laos sino al delta del Mekong. Le steli di fondazione ci ammaestrano ampiamente su quella che era la funzione sociale e religiosa di questi stabilimenti. Dopo la canonica invocazione buddhista, veniva il consueto elogio del re; le iscrizioni dicono che l'ospedale era posto sotto la protezione della "incarnazione" del Buddha, in quanto re, nella forma di Bhaishajyaguru Vaiduryaprabha, "il maestro dei rimedi dallo spendore del berillo" [pietra preziosa di colore variabile dal rosa al verde, al giallo, al blu], una delle più popolari forme di Buddha nel Mahayana, onorato anche in Cina e nel Tibet e la cui statua era collocata in una cappella annessa all'ospedale.
Seguiva poi il testo del regolamento secondo il quale tutti potevano essere ammessi alle cure, senza discriminazioni di casta, di censo, di razza o religione. Veniva quindi la pianta organica del personale della quale si può dare un esempio tratto dalla stele di Say Fong, e valido presumibilmente, per tutte le altre strutture sanitarie analoghe: le 32 unità di "personale superiore" erano così suddivise: 2 medici, 2 magazzinieri/farmacisti, 2 cuochi ("incaricati di procurare il legno e l'acqua"), 2 incaricati della cottura dei medicamenti, 2 incaricati della raccolta del legno per la cottura dei medicamenti, 14 custodi e infermieri incaricati della somministrazione dei medicamenti, 8 donne addette a funzioni diverse; i 66 "assistenti" erano così ripartiti: 3 assistenti, un uomo e due donne per ogni medico, 2 assistenti, un uomo e una donna, per ognuno dei 22 uomini del personale superiore, 2 assistenti per ognuna delle 8 donne del personale superiore.
Esistevano inoltre quattro stabilimenti ospedalieri centrali, dislocati ognuno presso una delle quattro porte di Angkor Thom; non sappiamo quanti pazienti venissero trattati, conosciamo però il fabbisogno dell'intero sistema sanitario che necessitava annualmente, a preventivo, di 11.920 tonnellate di riso che dovevano essere fornite da 838 villaggi che contavano su una popolazione complessiva di 81.640 uomini (o meglio, nuclei familiari). Venivano inoltre assorbiti, per il trattamento terapeutico, 2.124 kg. di sesamo, 105 kg. di cardamomo, 3.402 noci moscate, 48.000 febbrifughi, 1.960 barattoli di unguento per le emorroidi, etc.
Ciò che Jayavarman VII sperava da questa sua grandiosa opera, è scolpito nella pietra:
"Colmo di infinita compassione ed amore per il bene dell'umanità,
il re esprime questo voto: tutti gli esseri che sono immersi nell'oceano delle esistenze possa io trarli in salvo per la virtù di questa buona opera.
Possano tutti i re di Kambuja, amanti del bene, che proteggeranno la mia fondazione, raggiungere con tutta la loro stirpe,le loro spose i loro dignitari, i loro amici, il luogo della liberazione, là dove non esiste più la malattia".